Per una Novarese di nascita a cui la vita di provincia sta stretta, Milano non è una città, è LA città. Per una persona che ha cominciato ad amare la fotografia quasi prima di cominciare a scrivere, Forma, fondazione per la fotografia – appunto a Milano – è da qualche anno un'istituzione, o per lo meno, un punto di riferimento.
In questo post vorrei parlare (in controtendenza rispetto a una legge del giornalismo) di due mostre già concluse e imballate, le ultime che ho visto a Forma: Phil Stern, Sulla scena e Erwin Olaf, Vite private. Ciò che mi ha colpito è proprio il fatto che si sia deciso di esporle contemporaneamente, nello stesso periodo e in sale contigue. Perché? Non sono nati nello stesso periodo, né nello stesso luogo (statunitense il primo, olandese il secondo), ma soprattutto diametralmente opposti nello stile. Certo, due grandi maestri, su questo non si discute, ma maestri di scuole diverse: Stern “insegna” reportage, Olaf ha fatto del ritratto posato e della costruzione dell'immagine il suo vero punto di forza. Quanto le Marilyn Monroe e i Louis Armstrong del primo sembrano “più veri del vero”, tanto le casalinghe, i boy-scouts e le ragazze pon pon del secondo hanno un che di artefatto, di surreale, quasi di “finto”. Paradossale, no? Perché è il fotografo americano a mostrarci personaggi appartenenti al jet set holliwoodiano degli anni '50-'60, eppure li propone lontani dalle luci della ribalta, nel “dietro le quinte”, dove possiamo intravvedere i loro sguardi spontanei, le risate, ma anche le insicurezze e fragilità; ce li mostra, insomma, nella loro umanità. Al contrario Olaf raffigura momenti quotidiani, comunissimi, eppure è come se fossero “congelati”, fissi in un'espressione enigmatica, come esseri venuti da un altro pianeta e arrivati lì per caso. Davanti alle foto di Stern ci sembra di essere avvolti dall'atmosfera di un famoso locale jazz newyorchese o in una pausa sul set di Gioventù bruciata. Guardando le foto di Olaf abbiamo una sensazione strana: “Si vede una signora in una cucina...Bhe in realtà sembra un'attrice che recita la parte della casalinga in un set che riproduce una cucina”. Si potrebbe dire che Stern rende i personaggi persone, Olaf traveste le persone in personaggi.
Tutto questo mi ha portato a una riflessione più ampia su ciò che si intende per “fotografia”: nell'opinione comune ciò che è “fotografato” è sinonimo di ciò che è “reale”, se non è dipinto o prodotto di una manipolazione a computer come può essere finto o immaginario? Eppure queste sono entrambe fotografie ma sono così essenzialmente diverse, ma potremmo affermare che uno dei due “mente”? Forse, sottolineo, forse, “fotografare” non è “solo” scrivere con la luce, ma scrivere con la realtà.
Scritto da: AnnaM
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